Dottor Lorenzo Corsi - Biologo Nutrizionista
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Diabete tipo 2 e Sindrome metabolica
Il glucosio è la principale sostanza usata dall'organismo come carburante
ed è l'unica fonte di energia per il cervello eccetto che nel digiuno prolungato.
La
sua
concentrazione
nel
sangue
è
mantenuta
all'interno
di
un
certo
intervallo
con
un
meccanismo
che
vede
coinvolta l'insulina, ormone prodotto da particolari cellule del pancreas (cellule beta).
L'iperglicemia
(elevata
concentrazione
di
glucosio
nel
sangue)
cronica
causando
danni
ad
occhi,
reni,
nervi,
cuore
e
vasi
sanguigni
può
essere
responsabile
o
concausa
di
complicazioni
mediche
quali
cecità,
malattie
cardiovascolari, difficoltà erettile nell'uomo e insufficienza renale.
Il diabete mellito è un gruppo di disturbi metabolici con una manifestazione comune: l'iperglicemia.
L'attuale
sistema
di
classificazione
identifica
quattro
tipi
di
diabete
mellito:
tipo
1,
tipo
2,
"
altre
forme
meno
frequenti
" e un diabete gestazionale.
I
due
più
importanti
sono
quelli
di
tipo
1
e
2,
quest'ultimo
è
la
forma
più
comune
ed
è
associato
con
una
storia
familiare di diabete, obesità e scarso esercizio fisico.
Il
diabete
mellito
tipo
1
è
caratterizzato
dalla
distruzione
delle
beta-cellule
per
un
processo
autoimmune
che
porta
alla
mancanza
di
insulina.
Questa
forma
si
manifesta
prevalentemente
prima
dei
25
anni
di
età
e
per
le
persone colpite dalla malattia l'unica terapia è la somministrazione quotidiana dell'ormone.
Il
diabete
mellito
tipo
2
è
caratterizzato
da
un
difetto
della
secrezione
di
insulina
e
da
insulino
resistenza
nei
tessuti
periferici,
quest'ultima
condizione
è
aggravata
dall'eccesso
di
grasso
corporeo.
Esistono
individui,
con
una
alterata
glicemia
a
digiuno
o
dopo
somministrazione
orale
di
glucosio,
il
cui
valore
glicemico
superiore
alla
norma
non
è
considerato
patologico
ma
può
essere
un
indice
di
una
condizione
caratterizzante
uno
stato
metabolico intermedio tra omeostasi glicemica normale e il diabete.
Questa
condizione
rappresenta
un
fattore
di
rischio
da
non
trascurare
e
se
non
prontamente
affrontata
con
una
correzione
del
regime
alimentare
e
del
peso
corporeo
può
progredire
rendendo
conclamata
la
malattia
diabetica.
Se,
oltre
alla
glicemia
alterata,
compaiono
contemporaneamente
più
anormalità
metaboliche,
ciascuna
delle
quali
è
di
per
sé
un
ben
documentato
fattore
di
rischio
cardiovascolare,
allora
si
può
parlare
di
sindrome
metabolica
.
Come
riportato
sul
terzo
rapporto
del
National
Cholesterol
Education
Program’s
Adult
Treatment
Panel
(NCEP-
ATP III) devono coesistere sullo stesso individuo almeno tre o più delle seguenti condizioni*:
1.
Circonferenza vita >
102 cm nei maschi e >88 cm nelle femmine
2.
Trigliceridemia ≥
150 mg/dl
3.
Pressione arteriosa ≥
130/85 mmHg
4.
HDL colesterolo <
40 mg/dl nei maschi e <50 mg/dl nelle femmine
5.
Glicemia ≥
110 mg/dl (
L’American Diabetes Association (ADA) ha recentemente stabilito un limite di 100 mg/dl
).
Uno dei problemi nella gestione della sindrome metabolica,
sta nel fatto che viene spesso scomposta in una serie di disordini
apparentemente non legati fra loro.
La
conseguenza
più
probabile
di
questo
approccio
è
che
le
persone
che
ne
soffrono
sono
indirizzate
da
più
specialisti e trattate per ciascun disordine preso separatamente (diabete, ipertensione, dislipidemia).
Operando
su
un
singolo
aspetto
del
problema
senza
una
visione
unitaria,
si
perde
di
vista
la
complessità
della
condizione e le interrelazioni fra le varie componenti.
Guardando
alla
Sindrome
metabolica
come
ad
un’unica
entità
complessa,
avente
come
fattore
causale
l’obesità
addominale,
sarebbe
possibile
adottare
strategie
educative
finalizzare
ad
insegnare
comportamenti
che
favoriscano
il
controllo
dei
diversi
fattori
di
rischio
con
un
approccio
finalizzato
ad
intervenire
sulle
cause
del
problema (obesità viscerale) anziché sui sintomi.
Una delle complicanze più comuni dell’obesità viscerale è la resistenza all’insulina,
fenomeno che porta ad una ridotta capacità di questo ormone
di svolgere la sua funzione principale.
L'espansione
del
grasso
viscerale
causa
ipertrofia
delle
cellule
del
tessuto
adiposo,
processo
che
porta
al
rilascio
di
acidi
grassi
e
di
sostanze
pro-infiammatorie
nel
sangue.
Queste
molecole
raggiungono
il
fegato
dove
inducono
infiammazione e accumulo di grasso.
Nel
muscolo
la
riduzione
dell’assorbimento
del
glucosio
che
ne
consegue,
si
manifesta
con
un
aumento
della
glicemia che stimola il pancreas a produrre più insulina per rispondere a tale situazione.
Questa
sovrapproduzione
di
insulina
(che
comunque
è
molto
dannosa
per
la
salute)
è,
almeno
per
un
certo
periodo, in grado di mantenere nella norma il livello di glucosio.
Tuttavia,
nel
lungo
periodo,
in
alcuni
individui,
tale
risposta
compensativa
del
pancreas
viene
meno
e
l’esito
finale
è
il
diabete
(prima
della
diagnosi
possono
trascorrere
anni
con
glicemia
normale
ed
elevati
livelli
di
insulina
nel
sangue).
Questa progressione, da una condizione di salute ad una di malattia,
non è inevitabile.
L'alimentazione svolge un ruolo molto importante nella sindrome metabolica e
in entrambe le forme di diabete.
Garantire
una
alimentazione
equilibrata,
ben
frazionata
nell'arco
della
giornata
e
rispettosa
delle
esigenze
e
dei
gusti
individuali
è
l’obiettivo
primario,
ma
nel
soggetto
sovrappeso
è
necessario
anche
riduzione
l’eccedenza
ponderale.
Questi
due
obiettivi
dovrebbero
essere
perseguiti
ripristinando
uno
stile
alimentare
in
grado
di
eliminare
gli
eccessi calorici complessivi senza però eliminare le fonti alimentari di carboidrati complessi.
Senza
la
correzione
del
sovraccarico
calorico,
l’eliminazione
o
la
forte
riduzione
di
pane,
pasta
o
legumi
è
un
grave errore che può solo peggiorare la situazione.
Tutte
le
principali
associazioni
diabetologiche
ritengono
che
gli
schemi
alimentari
dei
soggetti
diabetici
dovrebbero
prevedere
un
generoso
apporto
di
carboidrati
complessi
e
di
fibra
alimentare,
una
notevole
riduzione
della
quota
lipidica,
in
particolare
modo
per
i
grassi
saturi
e
la
razione
proteica
dovrebbe
essere
coperta
prevalentemente
da
proteine di origine vegetale.
Il
cambiamento
delle
abitudini
alimentari
dovrebbe
però
essere
affrontato
realisticamente
se
si
considera
che
il
nuovo
stile
alimentare
dovrà
essere
adottato
per
il
resto
della
vita.
In
certi
casi
la
totale
eliminazione
di
alcuni
alimenti
può
essere
più
pericolosa
di
una
loro
concessione
ragionata
ed
attualmente
l'unica
strada
percorribile
per
ottenere
risultati
duraturi
è
quella
che
conduce
ad
una
gestione
autonoma,
serena
e
non
ansiogena
dell'ambiente
alimentare
rendendo
il
soggetto
protagonista
di
un
processo
di
cambiamento
in
cui
si
rivela
spesso utile e opportuno il coinvolgimento dei familiari.
Il
loro
contributo
è
necessario
per
affrontare
e
superare
le
difficoltà
connaturate
ad
un
cambiamento
del
comportamento
alimentare
e
non
dovrebbe
essere
sottovalutato
il
fatto
che
l'adesione
dell'intero
nucleo
familiare
ad
una
alimentazione
più
equilibrata,
semplice,
facilmente
realizzabile
e
non
così
diversa
da
quella
che
tutte
le
persone
sane
dovrebbero
seguire
quotidianamente,
rappresenta
un
sicuro
vantaggio
per
chi,
condividendo genetica e stili alimentari, potrebbe essere un potenziale candidato alla malattia diabetica.
*Non
c’è
un
accordo
unanime
sulla
definizione
da
dare
alla
SM.
Attualmente
le
definizioni
più
utilizzate
sono
quelle
dell'Organizzazione
Mondiale
della
Sanità
(WHO)
e
del
terzo
rapporto
del
National
Cholesterol
Education
Program’s
Adult
Treatment
Panel (NCEP-ATP III), anche se altre organizzazioni hanno proposto differenti definizioni.
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