Dottor Lorenzo Corsi - Biologo Nutrizionista
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Covid-19: fattori di rischio collegati al cibo e all’alimentazione
Tantissimi fattori rendono possibile il contagio di SARS-coV2 e lo svilupparsi della malattia respiratoria COVID-19.
Molti
di
questi
elementi
non
sono
sottoposti
alla
nostra
capacità
di
controllo,
conviene
quindi
far
convergere
le
nostre
energie
su
quelle
componenti
che
possiamo
modificare
e
che
possono
eventualmente
incidere
positivamente
nella
risposta
che
ognuno
di
noi
metterà
in
atto
dopo
un
eventuale
contagio,
fatto
altamente
probabile nei prossimi 12-18 mesi.
Il metabolismo e l'immunità sono strettamente collegati.
Sia
l'eccesso
alimentare
che
la
carenza
di
nutrienti
hanno
delle
ripercussioni
sulla
funzionalità
del
sistema
immunitario.
La
malnutrizione
per
difetto
può
sopprimere
la
risposta
immunitaria
e
aumentare
la
suscettibilità
alle
infezioni.
L'obesità
è
invece
associata
a
uno
stato
di
attività
immunitaria
aberrante
e
all'aumento
del
rischio
di
malattie infiammatorie.
Pertanto,
correggere
l’alimentazione
per
renderla
adeguata
alle
nostre
esigenze
è
essenziale
per
rendere
efficiente e funzionale il nostro sistema immunitario.
Le
attuali
politiche
di
distanziamento
sociale
servono
solo
a
ridurre
la
probabilità
di
infezione
e
le
dichiarazioni
degli
esperti
fanno
pensare
che
nei
prossimi
mesi
assisteremo,
se
si
mantengono
alcuni
comportamenti
virtuosi,
alla riduzione della frequenza di contagio e di conseguenza a quella dei decessi.
Ma
questo
non
significa
che
in
futuro
non
ci
saranno
più
ammalati
COVID-19.
Moltissime
persone
alla
“fine”
di
questa
prima
fase
(sono
infatti
probabili
nuove
"ondate"
con
dinamiche
diverse
da
regione
a
regione)
non
avranno
ancora
avuto
alcun
contatto
con
il
virus
e
se
non
si
troveranno
rimedi
certi
per
arrestare
la
sua
diffusione, continuerà a fare il suo “lavoro”.
Considerando
che
l’Agenzia
Europea
per
i
Medicinali
(EMA),
comunica
che
al
momento
e
sulla
base
dei
dati
preliminari,
nessun
farmaco
ha
ancora
dimostrato
la
sua
efficacia
nel
trattamento
del
COVID-19
e
visto
che
si
stima
che
potrebbe
essere
necessario
almeno
un
anno
prima
che
un
vaccino
sia
pronto
per
essere
approvato
e
disponibile,
sembra
ragionevole
rivolgere,
quando
possibile,
la
nostra
attenzione
verso
quei
fattori
noti,
che
condizionano la nostra suscettibilità all’azione virale e che sono collegati alla nostra alimentazione.
Chi
scrive
non
vuole
indurre
a
credere
che
mangiando
in
un
certo
modo
anziché
in
un
altro,
assumere
un
alimento
specifico
o
un
determinato
integratore
si
acquisisca
una
particolare
protezione
o
si
diventi
immune
dal
contagio
e
dalle
sue
complicanze,
ma
solo
ribadire
con
forza
che
ci
sono
sufficienti
dati
in
letteratura
scientifica
per sostenere che un buon stato di nutrizione può aiutarci anche in questa situazione.
Il
Center
for
disease
Control
and
Prevention
(CDC),
riporta
sul
suo
sito,
che
le
persone
maggiormente
a
rischio
per
malattie
gravi
da
COVID-19
sono
soggetti
con
malattie
polmonari
croniche,
asma
e
gravi
problemi
cardiaci
o
persone obese, con diabete, insufficienza renale o malattie del fegato.
L’OMS
ricorda
che
le
persone
con
una
preesistente
condizione
di
malattie
cardiovascolari,
chi
soffre
di
malattie
respiratorie croniche, diabete o Cancro appaiono essere più vulnerabili ad ammalarsi a causa del coronavirus.
Il
sito
dell’Ospedale
San
Raffaele
riporta
che
“
Tra
le
categorie
di
malati
cronici
in
assoluto
più
a
rischio
di
sviluppare
forme
gravi
di
COVID
19
–
e
che
quindi
devono
essere
particolarmente
attenti
a
proteggersi
dal
virus
–
ci
sono
i
cardiopatici,
gli
ipertesi
e
in
generale
le
persone
con
preesistenti
malattie
cardiovascolari......
La
scarsa
capacità
dei
polmoni,
intaccati
dal
virus,
di
ossigenare
il
sangue
ha
infatti
come
diretta
conseguenza
un
carico
di
lavoro
superiore
per
il
cuore,
a
cui
viene
chiesto
di
pomparne
di
più
e
più
velocemente.
Inoltre,
non
si
può
escludere
che
l’infezione
virale
causi
un
danno
diretto
alle
cellule
del
cuore,
come
è
stato
già
dimostrato
nel
caso
di
infezione
da
altri
tipi
di
coronavirus.
Infine,
la
stessa
risposta
infiammatoria
innescata
da
SARS-CoV-2
potrebbe
avere
degli
effetti
dannosi
sul
miocardio
”.
Da non sottovalutare il legame tra obesità centrale (grasso localizzato prevalentemente nell’addome)
e le difficoltà respiratorie.
Il
tessuto
adiposo
in
eccesso
può
ostacolare
il
funzionamento
del
cuore
e
dei
muscoli
che
permettono
la
respirazione.
Il
grasso
addominale
limita
il
corretto
movimento
del
diaframma
e
quello
accumulato
nella
zona
del
torace
comprime le alte vie respiratorie.
Più è grave lo stato di sovrappeso, maggiori sono le difficoltà respiratorie.
La
riduzione
dell’efficacia
respiratoria,
soprattutto
in
posizione
supina,
comporta
la
riduzione
della
quantità
di
aria
circolante
nei
polmoni,
causando
una
riduzione
dei
livelli
di
ossigeno
nel
sangue
(ipossiemia)
e
un
aumento
dei
livelli di anidride carbonica (ipercapnia) e il fenomeno delle apnee notturne.
In
generale
le
condizioni
legate
all'
obesità
sembrano
peggiorare
l'effetto
di
COVID-19;
le
persone
con
obesità
che
si
ammalano
e
che
richiedono
cure
intensive
presentano
maggiori
difficoltà
nella
loro
gestione
poiché
è
più
difficile
intubare
questi
pazienti
e
può
essere
più
difficile
eseguire
una
diagnosi
per
immagini
(poiché
ci
sono
limiti
di
peso
sui
macchinari
ed
i
pazienti
sono
più
difficile
da
posizionare
e
trasportare
da
parte
del
personale
infermieristico).
Anche
se
letti
speciali
e
attrezzature
di
posizionamento
e
trasporto
sono
disponibili
nelle
unità
ospedaliere specializzate, potrebbero non essere ampiamente disponibili in tutti gli ospedali.
In
Italia,
al
6
aprile
2020,
sono
decedute
14.860
persone
con
COVID-19
e
che
le
più
comuni
patologie
croniche
preesistenti
(diagnosticate
prima
di
contrarre
l’infezione
da
SARS-CoV-2)
nei
pazienti
(dato
disponibile
per
1290
decessi)
sono:
l'ipertensione
arteriosa
(911
persone
pari
al
70,6%
del
campione),
il
diabete
mellito
tipo
2
(409
persone
pari
al
31,7%
del
campione),
l’insufficienza
renale
cronica
(298
persone
pari
a
23,1%
dei
casi)
e
la
fibrillazione atriale (249 persone pari al 22,6% del campione).
Tutte
le
condizioni
suddette
sono
in
qualche
modo
collegate
all'eccesso
di
peso
e
in
alcuni
casi
fortemente
dipendenti
dal
grasso
addominale,
tratto
caratteristico
della
sindrome
metabolica
che
è
“un
quadro
clinico
complesso,
determinato
dalla
presenza
simultanea
di
tre
condizioni:
diabete,
pressione
alta
e
obesità.
Poiché
ognuna
di
queste
condizioni,
considerate
singolarmente,
è
un
fattore
di
rischio
riconosciuto
per
cuore
e
vasi
sanguigni,
la
loro
combinazione
aumenta
in
modo
significativo
la
probabilità
di
essere
colpiti
da
problemi
cardiaci,
ictus e altri disturbi vascolari”.
Una
delle
complicanze
più
comuni
dell’obesità
viscerale
è
la
resistenza
all’insulina,
fenomeno
che
porta
all’incapacità di questo ormone di svolgere molte delle sue funzioni.
L'espansione
del
grasso
viscerale
causa
ipertrofia
delle
cellule
del
tessuto
adiposo,
processo
che
porta
al
rilascio
di
acidi
grassi
e
di
sostanze
pro-infiammatorie
nel
sangue.
Queste
molecole
raggiungono
il
fegato
dove
inducono
infiammazione
e
accumulo
di
grasso.
Nel
muscolo
la
riduzione
dell’assorbimento
del
glucosio
che
ne
consegue,
si
manifesta
con
un
aumento
della
glicemia
che
stimola
il
pancreas
a
produrre
più
insulina
per
rispondere
a
tale
situazione.
La
sovrapproduzione
di
insulina
(che
comunque
è
molto
dannosa
per
la
salute)
è,
almeno
per
un
certo
periodo,
in
grado
di
mantenere
nella
norma
il
livello
di
glucosio.
Tuttavia,
nel
lungo
periodo,
in
alcuni
individui,
tale
risposta
compensativa
del
pancreas
viene
meno
e
l’esito
finale
è
il
diabete
(
prima
della
diagnosi
possono
trascorrere
anni
con glicemia normale ed elevati livelli di insulina nel sangue
).
Questa progressione, da una condizione di salute ad una di malattia, non è ineluttabile.
Alla
luce
di
queste
osservazioni
e
visto
che
la
riduzione
del
peso,
attraverso
una
alimentazione
equilibrata,
è
il
primo
atto
da
adottare
in
questi
casi,
sembra
sensato
invitare
le
persone
a
porre
una
particolare
attenzione
alla
propria
alimentazione
per
evitare
di
aumentare
di
peso
o,
se
possibile,
per
intraprendere
un
percorso
per
la
sua riduzione
.
Le
diverse
agenzie
governative
e
non,
ci
ricordano
il
ruolo
dell’alimentazione
come
fattore
di
protezione,
ma
il
messaggio
a
volte
non
è
sufficientemente
incisivo
e
la
maggior
parte
delle
persone
continuano
a
pensare
a
una
relazione
di
causa-effetto
fra
i
singoli
nutrienti
e
lo
stato
di
salute,
perdendo
di
vista
la
dimensione
sistemica
degli
organismi viventi e il ruolo dell’alimentazione nel suo complesso.
La
prevenzione
e
il
controllo
della
sindrome
metabolica
e
di
conseguenza
la
riduzione
dei
numerosi
rischi
associati,
consiste
essenzialmente
nel
cambiamento
dello
stile
di
vita,
finalizzato
alla
riduzione
del
sovrappeso
e
del
grasso
addominale
.
Conviene
quindi
adoperarci
da
subito
per
mettere
in
atto
tutti
quei
comportamenti
che
possono
ridurre
da
una
parte,
la
probabilità
di
contagio
e
dall'altra
elevare
la
nostra
capacità
di risposta ad un eventuale insulto virale.
Marina di Carrara 18 aprile 2020
Fonti
(Report Covid-19 ISS)
https://www.worldobesity.org/news/statement-coronavirus-covid-19-obesity
https://www.cdc.gov/coronavirus/2019-ncov/specific-groups/people-at-higher-risk.html
https://www.hsr.it/news/2020/marzo/coronavirus-cardiopatie-ipertensione
http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=4375
https://www.who.int/who-documents-detail/covid-19-and-ncds
https://www.issalute.it/index.php/la-salute-dalla-a-alla-z-menu/s/sindrome-metabolica#prevenzione
https://www.eatright.org/health/wellness/heart-and-cardiovascular-health/3-steps-to-help-combat-metabolic-syndrome
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