Biologo Nutrizionista
Dottor Lorenzo Corsi - Biologo Nutrizionista 349.67.00.453 CF: CRSLNZ62H07B832N - PI: 00617750450
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Dottor Lorenzo Corsi

Diabete tipo 2 e Sindrome metabolica

Il glucosio è la principale sostanza usata dall'organismo come carburante ed è l'unica fonte di energia per il cervello eccetto che nel digiuno prolungato. La sua concentrazione nel sangue è mantenuta all'interno di un certo intervallo con un meccanismo che vede coinvolta l'insulina, ormone prodotto da particolari cellule del pancreas (cellule beta). L'iperglicemia (elevata concentrazione di glucosio nel sangue) cronica causando danni ad occhi, reni, nervi, cuore e vasi sanguigni può essere responsabile o concausa di complicazioni mediche quali cecità, malattie cardiovascolari, difficoltà erettile nell'uomo e insufficienza renale. Il diabete mellito è un gruppo di disturbi metabolici con una manifestazione comune: l'iperglicemia. L'attuale sistema di classificazione identifica quattro tipi di diabete mellito: tipo 1, tipo 2, "altri tipi specifici" e un diabete gestazionale. I due più importanti sono quelli di tipo 1 e 2, quest'ultimo è la forma più comune ed è associato con una storia familiare di diabete, obesità e scarso esercizio fisico. Il diabete mellito tipo 1 è caratterizzato dalla distruzione delle beta-cellule per un processo autoimmune che porta alla mancanza di insulina. Questa forma si manifesta prevalentemente prima dei 25 anni di età e per le persone colpite dalla malattia l'unica terapia è la somministrazione quotidiana dell'ormone. Il diabete mellito tipo 2 è caratterizzato da un difetto della secrezione di insulina e da insulino resistenza nei tessuti periferici, quest'ultima condizione è aggravata dall'eccesso di grasso corporeo. Esistono individui, con una alterata glicemia a digiuno o dopo somministrazione orale di glucosio, il cui valore glicemico superiore alla norma non è considerato patologico ma può essere un indice di una condizione caratterizzante uno stato metabolico intermedio tra omeostasi glicemica normale e il diabete. Questa condizione rappresenta un fattore di rischio da non trascurare e se non prontamente affrontata con una correzione del regime alimentare e del peso corporeo può progredire rendendo conclamata la malattia diabetica. Se, oltre alla glicemia alterata, compaiono contemporaneamente più anormalità metaboliche, ciascuna delle quali è di per un ben documentato fattore di rischio cardiovascolare, si può parlare di sindrome metabolica. Come riportato sul terzo rapporto del National Cholesterol Education Program’s Adult Treatment Panel (NCEP- ATP III) devono coesistere sullo stesso individuo almeno tre o più delle seguenti condizioni*: 1. Circonferenza vita > 102 cm nei maschi e >88 cm nelle femmine 2. Trigliceridemia ≥ 150 mg/dl 3. Pressione arteriosa ≥ 130/85 mmHg 4. HDL colesterolo < 40 mg/dl nei maschi e <50 mg/dl nelle femmine 5. Glicemia ≥ 110 mg/dl ( L’American Diabetes Association (ADA) ha recentemente stabilito un limite di 100 mg/dl ). Uno dei problemi nella gestione della sindrome metabolica, sta nel fatto che viene spesso scomposta in una serie di disordini apparentemente non legati fra loro. La conseguenza più probabile di questo approccio è che le persone che ne soffrono sono indirizzate da più specialisti e trattate per ciascun disordine preso separatamente (diabete, ipertensione, dislipidemia). Operando su un singolo aspetto del problema senza una visione unitaria, si perde di vista la complessità della condizione e le interrelazioni fra le varie componenti. Guardando alla Sindrome metabolica come ad un’unica entità complessa, avente come fattore causale l’obesità addominale, sarebbe possibile adottare strategie educative finalizzare ad insegnare comportamenti che favoriscano il controllo dei diversi fattori di rischio con un approccio finalizzato ad intervenire sulle cause del problema (obesità viscerale) anziché sui sintomi. Una delle complicanze più comuni dell’obesità viscerale è la resistenza all’insulina, fenomeno che porta ad una ridotta capacità di questo ormone di svolgere la sua funzione principale. L'espansione del grasso viscerale causa ipertrofia delle cellule del tessuto adiposo, processo che porta al rilascio di acidi grassi e di sostanze pro- infiammatorie nel sangue. Queste molecole raggiungono il fegato dove inducono infiammazione e accumulo di grasso. Nel muscolo la riduzione dell’assorbimento del glucosio che ne consegue, si manifesta con un aumento della glicemia che stimola il pancreas a produrre più insulina per rispondere a tale situazione. Questa sovrapproduzione di insulina (che comunque è molto dannosa per la salute) è, almeno per un certo periodo, in grado di mantenere nella norma il livello di glucosio. Tuttavia, nel lungo periodo, in alcuni individui, tale risposta compensativa del pancreas viene meno e l’esito finale è il diabete (prima della diagnosi possono trascorrere anni con glicemia normale ed elevati livelli di insulina nel sangue). Questa progressione, da una condizione di salute ad una di malattia, non è inevitabile. L'alimentazione svolge un ruolo molto importante nella sindrome metabolica e in entrambe le forme di diabete. Garantire una alimentazione equilibrata, ben frazionata nell'arco della giornata e rispettosa delle esigenze e dei gusti individuali è l’obiettivo primario, ma nel soggetto sovrappeso è necessario anche riduzione l’eccedenza ponderale. Questi due obiettivi dovrebbero essere perseguiti ripristinando uno stile alimentare in grado di eliminare gli eccessi calorici complessivi senza però eliminare le fonti alimentari di carboidrati complessi. Senza la correzione del sovraccarico calorico, l’eliminazione o la forte riduzione di pane, pasta o legumi è un grave errore che può solo peggiorare la situazione. Tutte le principali associazioni diabetologiche ritengono che gli schemi alimentari dei soggetti diabetici dovrebbero prevedere un generoso apporto di carboidrati complessi e di fibra alimentare, una notevole riduzione della quota lipidica, in particolare modo per i grassi saturi e la razione proteica dovrebbe essere coperta prevalentemente da proteine di origine vegetale. Il cambiamento delle abitudini alimentari dovrebbe però essere affrontato realisticamente se si considera che il nuovo stile alimentare dovrà essere adottato per il resto della vita. In certi casi la totale eliminazione di alcuni alimenti può essere più pericolosa di una loro concessione ragionata ed attualmente l'unica strada percorribile per ottenere risultati duraturi è quella che conduce ad una gestione autonoma, serena e non ansiogena dell'ambiente alimentare rendendo il soggetto protagonista di un processo di cambiamento in cui si rivela spesso utile e opportuno il coinvolgimento dei familiari. Il loro contributo è necessario per affrontare e superare le difficoltà connaturate ad un cambiamento del comportamento alimentare e non dovrebbe essere sottovalutato il fatto che l'adesione dell'intero nucleo familiare ad una alimentazione più equilibrata, semplice, facilmente realizzabile e non così diversa da quella che tutte le persone sane dovrebbero seguire quotidianamente, rappresenta un sicuro vantaggio per chi, condividendo genetica e stili alimentari, potrebbe essere un potenziale candidato alla malattia diabetica.
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*Non c’è un accordo unanime sulla definizione da dare alla SM. Attualmente le definizioni più utilizzate sono quelle dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) e del terzo rapporto del National Cholesterol Education Program’s Adult Treatment Panel (NCEP-ATP III), anche se altre organizzazioni hanno proposto differenti definizioni.
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Il glucosio è la principale sostanza usata dall'organismo come carburante ed è l'unica fonte di energia per il cervello eccetto che nel digiuno prolungato. La sua concentrazione nel sangue è mantenuta all'interno di un certo intervallo con un meccanismo che vede coinvolta l'insulina, ormone prodotto da particolari cellule del pancreas (cellule beta). L'iperglicemia (elevata concentrazione di glucosio nel sangue) cronica causando danni ad occhi, reni, nervi, cuore e vasi sanguigni può essere responsabile o concausa di complicazioni mediche quali cecità, malattie cardiovascolari, difficoltà erettile nell'uomo e insufficienza renale. Il diabete mellito è un gruppo di disturbi metabolici con una manifestazione comune: l'iperglicemia. L'attuale sistema di classificazione identifica quattro tipi di diabete mellito: tipo 1, tipo 2, "altri tipi specifici" e un diabete gestazionale. I due più importanti sono quelli di tipo 1 e 2, quest'ultimo è la forma più comune ed è associato con una storia familiare di diabete, obesità e scarso esercizio fisico. Il diabete mellito tipo 1 è caratterizzato dalla distruzione delle beta- cellule per un processo autoimmune che porta alla mancanza di insulina. Questa forma si manifesta prevalentemente prima dei 25 anni di età e per le persone colpite dalla malattia l'unica terapia è la somministrazione quotidiana dell'ormone. Il diabete mellito tipo 2 è caratterizzato da un difetto della secrezione di insulina e da insulino resistenza nei tessuti periferici, quest'ultima condizione è aggravata dall'eccesso di grasso corporeo. Esistono individui, con una alterata glicemia a digiuno o dopo somministrazione orale di glucosio, il cui valore glicemico superiore alla norma non è considerato patologico ma può essere un indice di una condizione caratterizzante uno stato metabolico intermedio tra omeostasi glicemica normale e il diabete. Questa condizione rappresenta un fattore di rischio da non trascurare e se non prontamente affrontata con una correzione del regime alimentare e del peso corporeo può progredire rendendo conclamata la malattia diabetica. Se, oltre alla glicemia alterata, compaiono contemporaneamente più anormalità metaboliche, ciascuna delle quali è di per un ben documentato fattore di rischio cardiovascolare, si può parlare di sindrome metabolica. Come riportato sul terzo rapporto del National Cholesterol Education Program’s Adult Treatment Panel (NCEP-ATP III) devono coesistere sullo stesso individuo almeno tre o più delle seguenti condizioni: 1. Circonferenza vita > 102 cm nei maschi e >88 cm nelle femmine 2. Trigliceridemia ≥ 150 mg/dl 3. Pressione arteriosa ≥ 130/85 mmHg 4. HDL colesterolo < 40 mg/dl nei maschi e <50 mg/dl nelle femmine 5. Glicemia 110 mg/dl (L’American Diabetes Association (ADA) ha recentemente stabilito un limite di 100 mg/dl). Uno dei problemi nella gestione della sindrome metabolica, sta nel fatto che viene spesso scomposta in una serie di disordini apparentemente non legati fra loro. La conseguenza più probabile di questo approccio è che le persone che ne soffrono sono indirizzate da più specialisti e trattate per ciascun disordine preso separatamente (diabete, ipertensione, dislipidemia). Operando su un singolo aspetto del problema senza una visione unitaria, si perde di vista la complessità della condizione e le interrelazioni fra le varie componenti. Guardando alla Sindrome metabolica come ad un’unica entità complessa, avente come fattore causale l’obesità addominale, sarebbe possibile adottare strategie educative finalizzare ad insegnare comportamenti che favoriscano il controllo dei diversi fattori di rischio con un approccio finalizzato ad intervenire sulle cause del problema (obesità viscerale) anziché sui sintomi. Una delle complicanze più comuni dell’obesità viscerale è la resistenza all’insulina, fenomeno che porta all’incapacità di questo ormone di svolgere molte delle sue funzioni. L'espansione del grasso viscerale causa ipertrofia delle cellule del tessuto adiposo, processo che porta al rilascio di acidi grassi e di sostanze pro-infiammatorie nel sangue. Queste molecole raggiungono il fegato dove inducono infiammazione e accumulo di grasso. Nel muscolo la riduzione dell’assorbimento del glucosio che ne consegue, si manifesta con un aumento della glicemia che stimola il pancreas a produrre più insulina per rispondere a tale situazione. Questa sovrapproduzione di insulina (che comunque è molto dannosa per la salute) è, almeno per un certo periodo, in grado di mantenere nella norma il livello di glucosio. Tuttavia, nel lungo periodo, in alcuni individui, tale risposta compensativa del pancreas viene meno e l’esito finale è il diabete (prima della diagnosi possono trascorrere anni con glicemia normale ed elevati livelli di insulina nel sangue). Questa progressione, da una condizione di salute ad una di malattia, non è inevitabile. L'alimentazione svolge un ruolo molto importante nella sindrome metabolica ed in entrambe le forme di diabete. Garantire una alimentazione equilibrata, ben frazionata nell'arco della giornata e rispettosa delle esigenze e dei gusti individuali è l’obiettivo primario ma nel soggetto sovrappeso è necessario anche riduzione l’eccedenza ponderale. Questi due obiettivi dovrebbero essere perseguiti ripristinando uno stile alimentare in grado di eliminare gli eccessi calorici complessivi senza però eliminare le fonti alimentari di carboidrati complessi. Senza la correzione del sovraccarico calorico, l’eliminazione o la forte riduzione di pane, pasta o legumi è un grave errore che può solo peggiorare la situazione. Tutte le principali associazioni diabetologiche ritengono che gli schemi alimentari dei soggetti diabetici dovrebbero prevedere un generoso apporto di carboidrati complessi e di fibra alimentare, una notevole riduzione della quota lipidica, in particolare modo per i grassi saturi e la razione proteica dovrebbe essere coperta prevalentemente da proteine di origine vegetale. Il cambiamento delle abitudini alimentari dovrebbe però essere affrontato realisticamente se si considera che il nuovo stile alimentare dovrà essere adottato per il resto della vita. In certi casi la totale eliminazione di alcuni alimenti può essere più pericolosa di una loro concessione ragionata ed attualmente l'unica strada percorribile per ottenere risultati duraturi è quella che conduce ad una gestione autonoma, serena e non ansiogena dell'ambiente alimentare rendendo il soggetto protagonista di un processo di cambiamento in cui si rivela spesso utile e opportuno il coinvolgimento dei familiari. Il loro contributo è necessario per affrontare e superare le difficoltà connaturate ad un cambiamento del comportamento alimentare e non dovrebbe essere sottovalutato il fatto che l'adesione dell'intero nucleo familiare ad una alimentazione più equilibrata, semplice, facilmente realizzabile e non così diversa da quella che tutte le persone sane dovrebbero seguire quotidianamente, rappresenta un sicuro vantaggio per chi, condividendo genetica e stili alimentari, potrebbe essere un potenziale candidato alla malattia diabetica.

Diabete di tipo 2 e sindrome metabolica

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